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Recensione "Abbiamo sempre vissuto nel castello" di Shirley Jackson

 

Titolo: "Abbiamo sempre vissuto nel castello"
Autrice: Shirley Jackson
Casa editrice: Adelphi
Pagine: 182
Prezzo: 18,00
TRAMA
«A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce»: con questa dedica si apre L’incendiaria di Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l’Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i «brividi silenziosi e cumulativi» che – per usare le parole di un’ammiratrice, Dorothy Parker – abbiamo provato leggendo La lotteria. Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male – un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai ‘cattivi’, ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.  

LA MIA OPINIONE 
La diciottenne Mary vive in una grande villa inaccessibile quasi a tutti gli abitanti del paese insieme a sua sorella maggiore Constance e a suo zio Julian. I loro genitori e la moglie di Julian sono morti sei anni prima dopo aver ingerito dello zucchero contenente arsenico mentre Constance è scampata alla morte perché non usa mai lo zucchero, Mary era stata mandata a letto senza cena e Julian avendone messo poco è sopravvissuto ma è finito sulla sedia a rotelle e dimentica le cose.
Durante la lettura è dallo zio che ricostruiamo l'accaduto perché sta lavorando al libro che racconterà la tragedia e il processo a Constance, accusata all'inizio dell'avvelenamento ma né da lui né da Mary che racconta in prima persona sappiamo veramente chi è stato a mettere il veleno e sta a noi lettori mettere insieme i pezzi e scoprirlo.   
Ci troviamo di fronte a una famiglia disfunzionale che sopravvive alle giornate tra Mary che esce solo due volte alla settimana per fare le commissioni cercando di tornare il prima possibile a casa a causa dell'odio degli abitanti che sembra esserci nei suoi confronti e di quelli della sua famiglia, Constance che non lascia la villa da sei anni troppo impaurita per uscire e lo zio malato che dedica il suo tempo a ricostruire la tragedia.
La vita sembra andar bene così alla famiglia Blackwood anche se la volontà di tornare alla normalità sembra esserci in Constance e il pensiero di non avere più la sorella tutta per sè fa preoccupare Mary tanto che intensifica i suoi rituali protettivi come sotterrare oggetti nel giardino per far sì che niente cambi, che il male non entri nelle loro vite ma ahimè qualcosa andrà storto e allora Mary dovrà ricorrere a rituali ben più forti.
Lo stile dell'autrice è semplice e a volte ridondante credo proprio per evidenziare l'immobilità delle loro vite e nel leggere questa storia non sono mancate le emozioni facendomi provare curiosità per capire chi poteva essere l'artefice dell'avvelenamento anche se col passare dei capitoli diventa sempre più evidente il nome del colpevole, tristezza e pena per Constance le cui giornate passano soddisfando solo le richieste di Mary e Julian, malessere per i comportamenti e i pensieri di Mary, rabbia nei confronti del cugino opportunista che una volta arrivato si sente il padrone e calpesta senza problemi i sentimenti di Mary e lo zio e disgusto per i paesani che demonizzano i Blackwood.
Una volta finito il libro sono rimasta un po' come incantata senza capire se alla fine mi fosse piaciuto o meno ma riflettendoci dopo qualche giorno sono arrivata alla conclusione che sia una lettura strana ma originale e che l'autrice sia stata bravissima a trasmettere l'inquietudine e il senso di sicurezza/prigionia che deriva da una situazione familiare del genere che anche se raccontata all'estremo può descrivere davvero alcune realtà. 



 
 

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